Il Gran Combin, m. 4313

A cura di Graziano Censi (Annuario 76-77 del Gruppo Battisti)

Partenza alle ore 6, quattro ore di macchina sotto un diluvio. Al di là del Passo del Gran S. Bernardo il tempo è migliore, non piove, e il sole fa capolino fra veloci nuvole bianchissime. Un pranzo leggero nella Valle di Fionnay, quindi qualche chilometro ancora e poi, finalmente Fionnay, m. 1489: piccolo villaggio di montagna tipicamente svizzero, con case in legno naturale e erramenti verniciati di rosso, di verde o di blu.

E’ già pomeriggio, prepariamo gli zaini, leghiamo gli sci, c’è un po’ di fretta.

Il sentiero per raggiungere il rifugio Pannossière dopo i primi due forti balzi, su un costone boscoso, a fronte del ghiacciaio di Corbassière, piega nella valle e si inerpica su una interminabile morena alla fine della quale si trova il magnifico rifugio a m. 2671. Sono circa 1250 metri di dislivello che si fanno sentire su tutti noi.

Gli zaini sono pesanti, oltre all’attrezzatura individuale portiamo alcune corde, sonde da valanga e qualche pale in lega leggera.

Si arriva che è sera, giusto in tempo per assistere ai soliti prodigiosi tramonti in alta montagna. Non ci sono parole per descrivere il fascio luminoso ed i contrasti di luce sulle alte seraccate.

L’aria si fa pungente, facciamo qualche foto e poi ci ripariamo all’interno del rifugio, in un tepore accogliente.

Qualche scarna parola viene scambiata con il gestore, un tipo anziano, piuttosto gelido, quasi ostile nei modi.

Ancora un’occhiata al tempo che si sta mettendo al bello. Decidiamo di approfittare l’indomani, tempo permettendo, per salire la cima del Gran Combin, anche se la stanchezza ci consiglia il contrario.

Sveglia molto presto al mattino, una colazione sostanziosa e poi partenza.

Accendiamo le nostre torce elettriche e ci muoviamo. Sono questi preparativi momenti indimenticabili: le stelle nella notte brillano intensamente, sembra quasi toccarle, un velo di cirri assai alti offuscano un po’ la volta celeste.

Quassù non c’è vita, eppure sembra la sede ideale del mondo. 

Dal rifugio scivoliamo sul ghiacciaio, le pelli ci frenano dolcemente. Man mano che saliamo, il vento aumenta di intensità e con esso il freddo. Ci troviamo ora a quota 3600 circa, dobbiamo salire in diagonale il «corridor»: sono 500 metri di dislivello fino alla fine del canale, 300 dei quali sono da percorrere sotto la pericolosa seraccata pensile su un muro verticale di roccia. Ci sentiamo piccolissimi ed impotenti, con gli occhi controlliamo costantemente la massa di ghiaccio sospeso su di noi. Si calcola la temperatura in almeno 20° sotto zero, il vento ancora forte ci obbliga ad una marcia poco di stile.

Intanto un piccolo blocco che si è staccato e che ci fa temere il peggio per un attimo, rotola giù fra me e Gigi.

Finalmente usciamo dal pericolo.

Siamo a quota 4100, un po’ stanchi per la verità. Breve sosta per sistemare gli sci in un unico punto, quindi saggiamo con i ramponi la rigida spalla che porta alla cresta. Tutti i componenti la comitiva si mostrano sicuri sicché non c’è bisogno di mettere corde fisse; il pendio è di circa 55-60 gradi.

Camminiamo ormai staccati uno dall’altro, ognuno qui fa il proprio passo che è un limite di velocità in rapporto alle energie dei singoli.

Si passa la prima anticima e si è convinti di toccare la vetta nella seconda, senonché ci si accorge che la seconda è più bassa della terza.

Sono alcune centinaia di metri che percorriamo nel vento, con il fiato grosso. Ecco la cima 4314 metri.

Piano tutti arrivano, non c’è tanto spazio sulla vetta e le condizioni non certo ideali non ci permettono di muoverci indipendentemente gli uni dagli altri.

Uno sguardo intorno. A ovest il massiccio del Monte Bianco si intravede appena, il tempo è ancora incerto, banchi di nuvole che vengono da sud-ovest ci impediscono di vedere le montagne circostanti.

Intanto la temperatura si è notevolmente alzata. Saremo a zero gradi circa.

Tutti hanno toccato la vetta. Penso agli amici che non sono venuti, che peccato! Una occasione perduta.

Prendiamo gli sci e scendiamo nel canalone con un occhio agli ostacoli e l’altro alla seraccata, trattenendo il respiro. Finalmente usciamo al sicuro dove si ritrova il buon umore.

La discesa ora è meravigliosa, l’innevamento è abbondante, il pericolo di crepacci praticamente non esiste. Ad un certo punto un rombo assordante, una massa di seracchi sta precipitando nel canalone, lo attraversa e precipita nel sottostante ghiacciaio. Stimo la massa in alcune decine di metri cubi.

Una comitiva di francesi partiti molto tardi sta ancora salendo, al momento del distacco dei seracchi era appena uscita dal canalone.

Il giorno seguente il tempo è migliore. Puntiamo velocemente al Piccolo Combin, una salita facile senza il minimo pericolo; ora siamo un po’ acclimatati e in pochissimo arriviamo sulla cima m. 3672. Il cielo ora è completamente sereno per cui lo spettacolo è veramente unico. Di fronte a noi le Grand Jorasses con i poderosi speroni nord, tutto il Monte Bianco è pieno di luce, tutte montagne abbondantemente sopra i 4000 metri.

Oggi fa molto caldo, alcuni fiocchi di nuvole si vanno formando sotto le cime del Gruppo del Bianco. Sulla nord delle Jorasses sta salendo la nebbia che in pochi attimi avvolge tutta la parete. E’ un fenomeno che si verifica spesso in alta quota.

La discesa è meravigliosa, la neve ha mollato per un centimetro, per cui sciare bene oggi è facilissimo, tutti ci impegniamo a chi fa meglio, in slalom strettissimi, lo zaino ormai non lo sentiamo più.

Volonterosi salgono per un centinaio di metri alla cima del Combin di Panossière.

Rientriamo in rifugio, con un giorno di anticipo ci prepariamo a scendere a valle e ci facciamo portare il conto…Alcuni pagano doppio per aver dimenticato la tessera, questo tocca anche alla guida che non ha la vidimazione sul libretto. Quasi tocca anche a me, perché il libretto di Istruttore Nazionale in Svizzera non è riconosciuto; per fortuna nella tasca dello zaino trovo la tessera C.A.I. Un alleggerimento pesante!!!

Arriviamo a valle con i piedi sbucciati e dopo esserci ben rinfrescati nel torrente rientriamo a Verona felici.